DAL 25 GIUGNO AL 02 LUGLIO 2011 SI TERRA’ UNA SETTIMANA DI MOBILITAZIONE NAZIONALE A SOSTEGNO DELLE PROTESTE NELLE CARCERI, NEI C.I.E (Centri di Identificazione ed Espulsione) E NEGLI O.P.G (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
A Como verranno fatti due presidi al carcere Bassone in solidarietà a tutti/e i/le detenuti/e il 29 GIUGNO 2011 dalle h.18.00 alle h.21.00 e il 02 LUGLIO 2011 dalle h. 9.00 alle h. 12.00
Leggi l’appello di indizione della settimana:proposta mobilitazione carceri
A Cagliari il 16 e 17 settembre 2011 si terrà un Convegno Nazionale per un ruolo attivo del Servizio Sanitario Nazionale e degli Enti locali contro l’Orrore degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. L’obiettivo è la denuncia di queste strutture e la loro abolizione come scelta di civiltà.
Quelli che vengono chiamati ospedali psichiatrici giudiziari ma sono sempre gli stessi manicomi criminali di una volta.
Sono sei, ci sono rinchiusi in 1500 e il 40% di loro non ci dovrebbe stare ma, finita la pena, gli viene prorogato il soggiorno. All’infinito. Spesso senza un processo. Le famiglie non ci sono o li rifiutano e i territori non li accolgono. Così vivono in nove in una cella, lenzuola luride come i bagni, l’acqua tenuta in fresco nella tazza del cesso, legati se sgarrano, con lo psichiatra a disposizione per meno di un’ora al mese
Ecco che denunciare questa situazione diventa obiettivo primario del congresso che si terrà a Cagliari . Con la consapevolezza che le riforme, per essere fatte hanno un loro tempo e che richiedono un coinvolgimento della società civile e un consenso diffuso. del malato di mente.
Nel merito delle ipotesi di riforma si ritiene auspicabile che gli ospedali psichiatrici giudiziari possano essere trasformati nel senso di rispondere maggiormente alle esigenze di trattamento sanitario del paziente. Ciò deve avvenire con modalità organizzative attraverso le quali organizzare una vera integrazione con i servizi psichiatrici territoriali, e il loro pieno coinvolgimento, superando quella segregazione istituzionale propria dell’attuale ospedale psichiatrico giudiziario.
Punti fermi di tale riflessione sono, a nostro avviso, due: a) la malattia mentale non può essere titolo sufficiente per la limitazione della libertà personale, in assenza di un accertamento in ordine alla commissione di un fatto previsto dalla legge come reato; b) la restrizione della libertà di una persona malata di mente in ragione della commissione di un fatto-reato non può avere durata indefinita, nè superiore al massimo di pena previsto dalla legge per il reato commesso.
Per quanto riguarda l’impianto normativo in materia, pur con i correttivi introdotti dalla Corte Costituzionale, è ancora quello del Codice Rocco. Tale impianto era coerente con la legislazione “segregazionista” in materia di malattia mentale: prima della legge del 1978, infatti, la malattia mentale era titolo sufficiente, di per sè, per limitare indefinitamente la libertà personale di un soggetto e, quindi, ben poteva prevedersi la segregazione del malato “accusato” di un reato. Ma con la legge Basaglia l’ordinamento ha operato una rivoluzione copernicana in materia, e ciò impone un ripensamento della normativa del codice penale.
L’illegittimità di questo doppio circuito penale è denunciata da tempo da molti operatori del settore e dalle associazioni di volontariato. Prima che andassero di moda il giustizialismo e il populismo, la critica alle istituzioni totali era anche uno dei caratteri distintivi dei comunisti e della sinistra.
L’ultima denuncia arriva dal rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d’Europa, redatto dopo un’ispezione effettuata nel settembre 2008. Nelle 84 pagine del testo si segnalano le pessime condizioni in cui versano gli Ospedali psichiatrici giudiziari, ma si riferisce anche di un diffuso ricorso alle percosse da parte delle forze dell’ordine nei confronti delle persone fermate o arrestate, oltre a rilevare il grave stato di sovraffollamento delle prigioni.
La persona internata non è un detenuto e nemmeno un condannato, ma ritenuta «pericolosa socialmente». L’internamento si protrae fino a quando il magistrato di sorveglianza ritiene che la persona sia pericolosa .Ma avviene lo stesso anche quando l’internato non ha nessuno che possa prendersi cura di lui. L’internamento può essere prorogato all’infinito, lo decide sempre il magistrato di sorveglianza in base alle valutazioni mediche. Per questo lo chiamano «ergastolo bianco».
Igino Cappelli, magistrato di sorveglianza di Napoli nel volume Gli avanzi della giustizia affermava:”Il manicomio giudiziario è un’istituzione due volte da negare perchè due volte violenta e due volte inumanamente e irrazionalmente totale: come carcere e come manicomio:”
Il documento della XII Commissione permanente del Senato denuncia, infatti, “l’aumentata incidenza del numero di coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza per breve periodo (2 anni)” ed evidenzia come “trovino ricovero in tali ospedali pazienti psichiatrici a bassa pericolosità sociale per evidente carenza dei servizi psichiatrici del Servizio sanitario nazionale, nonché di adeguate strutture intermedie”.
Sotto accusa, in particolare, la situazione in cui versa l’Ospedale psichiatrico giudiziario Filippo Saporito di Aversa. Una struttura scadente. Numerose le situazioni di criticità rilevate: condizioni igieniche e di vivibilità minime, carenza di personale civile, assenza di attività di reinserimento sociale, insufficienza del livello di assistenza sanitaria, uso dei letti di contenzione. Solo pochi mesi fa è stato registrato il decesso di un internato morto per il proprio rigurgito e di un altro deceduto per tubercolosi. La delegazione ha riscontrato che alcuni pazienti erano stati trattenuti più a lungo di quanto non lo richiedessero le loro condizioni e mentre erano mantenuti nell’Opg oltre lo scadere del termine previsto dall’ordine d’internamento. Le autorità italiane hanno risposto che la struttura è in corso di ristrutturazione e che la legge non prevede un limite per l’esecuzione di misure di sicurezza temporanee non detentive.
Erika Anedda
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